Writing has curbed my temper. It allowed me to say when it is not appropriate to be told – at least to avoid complaints – and to tell stories that it was unlikely to share peacefully. It gave me the opportunity to have alternative routes available for those moments when the way out does not seem to exist.
I found that I liked it. That I had the unassailable freedom to use words, the right age to accumulate stories that I have lived or that I have seen lived, the wrong age to begin to reflect on the fact that I have already crossed three / fourths of the existence that statistically is me granted.
And then I had flashes of unsuspected happiness, and exhausting pains. I have suffered losses that have left grooves of regret and wonderful memories. I changed paths, husbands, choices and beliefs. I had a son and became a mother. I worked for a living and to study and I worked for passion. I felt the tear of abandonment and I abandoned myself to start over from there. I’ve been to places that average people would think are wrong – and I’ve come out better. I have been to places deemed right and I discovered where the mistake really was. I learned to look, because curiosity is healthy. I became intangible even with myself to listen to the stories of others and transform them into crystallized emotion. I have lived, but not long and not long enough to feel full. I lived knowing I was living, so greedy that I believed I had so much to tell.
I miss the practice, though. And the rule. And the comparison with those who love writing and with those who write for different reasons and skills that are not mine. I don’t have the restraint of the style that embellishes the impulse. I have to learn the patience that allows reflection. I have to learn how to disappear behind the written word of me, for the story to tell itself.
I have to leave behind the fear of trying.
La scrittura ha tenuto a freno il mio temperamento. Mi ha permesso di dire quando non è opportuno venga detto – quantomeno per risparmiarsi querele – e di raccontare vicende che era improbabile condividere serenamente. Mi ha dato la possibilità di avere a disposizione percorsi alternativi per quei momenti in cui la via d’uscita non sembra esserci.
Ho scoperto che mi piaceva. Che avevo la libertà inattaccabile di usare le parole, l’età giusta per accumulare storie che ho vissuto o che ho visto vivere, l’età sbagliata per cominciare a riflettere sul fatto che ho già attraversato tre/quarti dell’esistenza che statisticamente mi è concessa.
E poi ho avuto sprazzi di insospettabile felicità , e dolori che sfiancano. Ho subìto perdite che hanno lasciato solchi di rimpianto e ricordi meravigliosi. Ho cambiato strade, mariti, scelte e convinzioni. Ho avuto un figlio diventando madre. Ho lavorato per vivere e per studiare e ho lavorato per passione. Ho sentito lo strappo dell’abbandono e mi sono abbandonata per ricominciare proprio da lì. Sono stata in posti che la media delle persone reputerebbe sbagliati: e ne sono uscita migliore. Sono stata in posti ritenuti giusti e ho scoperto dov’era davvero l’errore. Ho imparato a guardare, ché la curiosità è sana. Sono diventata impalpabile anche con me stessa per ascoltare le storie degli altri e trasformarle in emozione cristallizzata. Ho vissuto, ma non tanto e non abbastanza da sentirmene sazia. Ho vissuto sapendo che stavo vivendo, in modo così ingordo da credere di aver tanto da raccontare.
Mi manca la pratica, però. E la regola. E il confronto con chi ama la scrittura e con chi scrive per motivi diversi e per capacità che non sono le mie. Non ho il freno dello stile che abbellisce l’impulso. Devo imparare la pazienza che permette la riflessione. Devo apprendere come scomparire dietro la parola scritta di me, perché sia la storia a raccontarsi.
Devo lasciare indietro la paura di provarci.